“Le Mans ’66 – La grande sfida” è uscito al cinema da qualche settimana, ma continua a far discutere gli appassionati. Ne approfitto per aggiungere qualche considerazione molto personale, avendolo visto solo ieri. Ferrari-Girone è odioso. La scena in cui manda all’aria la trattativa con gli executives della Ford, chiamandoli sons of whores e dando del ciccione buono a nulla a Henry II (sottolineando con disprezzo “the second”, cioè l’inetto erede, non certo il geniale fondatore, suo nonno), mi è sembrata forzata e sgradevole. Per di più gli insulti arrivano dopo un doppio gioco portato avanti di nascosto per farsi rilevare dalla Fiat di Gianni Agnelli. Sarà andata così? Spero di no, almeno nei modi. Anche perché nel film, in quella circostanza, l’interlocutore del Drake risulta vittima di un raggiro, più che il “solito” americano arrogante pieno di dollari e privo di tatto. Per la cronaca, sarebbe Lee Iacocca, destinato a essere un grande protagonista alla guida della Chrysler, all’epoca manager del marketing Ford (piccola nota da amante dei film in versione originale: non sapevo che gli americani lo pronunciassero “aiacocca”). A proposito di pronuncia, il “brummy” di Miles-Christian Bale, pilota di Birmingham (UK, naturalmente) trasferitosi in California, con la sua cantilena, la parlata a mezza bocca, e la sua pungente ironia, non mi ha dato scampo: ho dovuto leggere i sottotitoli per metà del film. Meglio lo Shelby-Matt Damon, cowboy ed eroe buono del film. Cowboy chiama scazzottata, che naturalmente non manca. Sa tanto di americanata, chissà perché solo oltreoceano i migliori amici si massacrano di botte per finire a rotolarsi – ovviamente senza nemmeno un dente rotto – e brindare con una bibita ghiacciata insieme. Sorvoliamo. Consiglierei il film? Alla fine sì, per un ripasso sulle mitiche corse anni 60 (dove un pilota vincente era anche e soprattutto meccanico e sapeva persino risagomare a martellate il cofano di un baule per banali questioni di regolamento). Per la recitazione dei due protagonisti, da Oscar. Per le sequenze di gara, a Le Mans e Daytona (sguardi tra i piloti a parte…). Lo sconsiglierei, invece, a chi appunto non regge le americanate: oltre alla citata scazzottata da saloon, aggiungerei quelle tre o quattro ripartenze di Shelby-Damon sulla sua spider. Sempre da vero idiota, a razzo nel traffico, anzi possibilmente con inversione a “U” nel mezzo di un incrocio losangelino, senza guardare. Congrats! Infine, una riflessione semiseria: ma se in un film tutto sommato appassionante ma “superficiale”, come lo sono le storie di auto, riescono in nome del copione e dello spettacolo a inserire tutte le inesattezze già segnalate fin dalla recensione dell’anteprima e nel blog, nei veri filmoni storici, come “Salvate il soldato Ryan” di Steven Spielberg (sempre con Matt Damon), quante forzature ci avranno infilato?