Lo confesso, i film di corse li aspetto, li bramo e li devo vedere il primo giorno dell’uscita in sala. Poi, entrano a fa parte della collezione di casa, anche se non mi hanno convinto del tutto. Ebbene, è successo e succederà così anche per “Le Mans ’66. La grande sfida”, un film che per molti aspetti mi ha convinto, pur avendo, come sempre capita quando si presenta un tema sportivo di nicchia al grande pubblico, qualche piccola stonatura. Trovo molto azzeccata la scelta del tema e la formula, già sfruttata da Ron Howard in “Rush”, della sfida, in questo caso davvero titanica nel Mondiale marche, tra la piccola e vincente Ferrari e il gigante generalista Ford, che aveva già fatto la storia dell’auto di tutti i giorni e aveva dato il suo grande apporto industriale durante gli eventi bellici 1941-45.

Intanto, “Le Mans ‘66” è un film vero sulle corse, direi sullo sport estremo, e non un documentario in pista con una trama appiccicata dopo. Anzi, è ben costruito e raccontato, dalla parte degli americani e della Ford, e narra con dovizia di aneddoti i retroscena che portarono il grande gruppo a stelle e strisce a tentare di acquistare, e poi di battere a Le Mans la Scuderia Ferrari. Un iter, per mettere insieme la squadra vincente Oltreoceano, che non fu affatto semplice, visto lo scontro tra uomini duri che si verificò, un aspetto della storia che non conoscevo nei dettagli, ma che è stato reso in modo avvincente per il grande schermo, con un bel ritmo. Tanto che le due ore e 32 minuti di proiezione scorrono via veloci. E qui si arriva, secondo me, al focus del film: ossia, il rapporto, ben sviluppato tra i protagonisti, Carroll Shelby-Matt Damon e Ken Miles-Christian Bale: il primo ex campione e poi team manager, mentre il secondo, scontroso quanto abilissimo pilota. Questa fase, con tutti i dissidi con la Ford, è importante e si prolunga molto, forse un po’ a detrimento delle scene a bordo delle GT 40, che giustamente il fan di corse si aspetta, ma che vengono rese bene, soprattutto nei collaudi e nelle sensazioni di chi guida, col contagiri a 7.000. Molto riuscite, inoltre, le ricostruzioni dei box e degli ambienti di corse. In gara, invece, forse il regista si fa prendere un po’ la mano e nella 24 Ore di Le Mans 1966, la prima in cui la Ford trionfa, indugia troppo in uno sguardo-contro-sguardo in stile western tra il pilota Ford e quello Ferrari (Lorenzo Bandini, nell’occasione, viene fatto passare per il “cattivo”, e non lo era), con improbabili sorpassi e controsorpassi sul filo dei 330 orari (certo, a totale uso e consumo del grande pubblico). Mi convince poco, poi, la scena in cui si vede Enzo Ferrari, ben interpretato dal nostro Remo Girone, che incita i meccanici dalla terrazza dei box di Le Mans, ben sapendo quanto lui in realtà odiasse farsi vedere alle corse. Mi sono piaciute, invece, le scene al volante, venate di un certo realismo, e mi è piaciuto il tributo a Ken Miles (bello anche il suo rapporto con la moglie e il figlio), prematuramente scomparso poco dopo la “24 Ore” in un test privato. Insomma, secondo me è un bel film di corse in cui la pista non deborda, ma c’è, e che fa riflettere sul perché si voglia guidare oltre il limite. Beh, adesso sono curioso di sapere che cosa ne pensate voi.