Bertha Benz

Sono passati 132 anni da quando Bertha Benz ha compiuto la sua grande impresa, portando a termine il primo viaggio su un’automobile. In realtà, era un triciclo, creato da suo marito Karl due anni prima: oggi è considerato universalmente la prima auto della storia, ma allora nessuno aveva compreso la sua portata rivoluzionaria.

Lei no, lei l’aveva capita benissimo. E per dimostrarla a tutti una mattina presto di agosto, anno domini 1888, ha caricato a bordo del veicolo due dei suoi cinque figli ed è partita da Mannheim, cittadina a sud di Francoforte, alla volta di Pforzheim, piccolo centro a nord di Stoccarda. Ci è arrivata ed è tornata indietro, 180 chilometri totali, superando mille imprevisti e difficoltà. Ci è riuscita, dimostrando non solo la validità dell’idea del marito, ma anche la sua grande forza di volontà, diventando così una pioniera dell’automobile, un’icona di questo mondo.

La Benz Patent-Motorwagen, il triciclo con cui Bertha Benz compì il suo viaggio.

Ricordo questa storia oggi, 8 marzo, perché da allora di figure così ne abbiamo avute poche altre. Troppo poche. L’industria automotive resta un ambito ancora molto maschile. Le donne nelle posizioni che contano sono pochissime: ci sono alcune manager che siedono nei board, ce ne sono alcune a capo di singoli brand. Al vertice di un Casa ce n’è una sola, Mary Barra, dal 2014 ceo della General Motors. Piglio deciso, stretta nei giubbini di pelle che ama sfoggiare anche in colori accesi, Barra sta traghettando la GM tra le onde di una delle fasi più critiche della sua storia: ha rifiutato più volte le proposte di fusione con FCA che le ha inviato Sergio Marchionne, ha dovuto fare scelte difficili, come chiudere stabilimenti e cedere marchi, e ora punta sull’elettrificazione per garantire un futuro al gruppo.

Mary Barra, ceo della General Motors

Ma Barra è l’unica in una posizione tanto elevata. A certificarlo è la classifica Fortune Global 500, che rileva che nel 2018 c’erano solamente 16 donne in ruoli esecutivi nelle 20 principali aziende automotive mondiali. Uno studio condotto dalla Deloitte in collaborazione con Automotive News, realizzato intervistando centinaia di donne che lavorano nel settore, indaga le ragioni di questi numeri così bassi: opportunità di crescita ridotte rispetto ai colleghi, differenze nelle retribuzioni, ma anche scarso appeal del comparto, che è poco flessibile e impone sacrifici importanti in termini di equilibrio tra lavoro e vita privata. E la percezione è che la situazione sia anche peggiore rispetto al passato: nel 2015 uno studio simile aveva indicato un livello di insoddisfazione più contenuto. Insomma, ai vertici dell’industria dell’auto ci sono poche donne, anche perché quello dell’auto è un ambiente difficile e poco attraente.

Eppure, tra le fila delle Case ci sono numerose designer, progettiste, specialiste di materiali, esperte di realtà aumentata, connettività, cybersicurezza e di molte altre discipline che stanno diventando centrali per le vetture di oggi e di domani. E ci sono anche manager ferme ai livelli intermedi della scala gerarchica, bloccate da quel famigerato soffitto di cristallo che ne frena la crescita. Queste donne, quasi tutte giovani e molto preparate, rappresentano un grosso potenziale per il settore auto. Un settore che stava già attraversando un momento di transizione complesso e delicato, tra corsa all’elettrico, ricerca tecnologica esasperata e nuovi modelli di mobilità, al quale ora le incognite del Coronavirus e delle sue contagiose conseguenze aggiungono una prospettiva di enorme incertezza. Quando gli ostacoli sono più alti del solito e le situazioni da gestire più difficili, servono competenza, tenacia, flessibilità, ma anche fantasia e creatività. Tutti contribuiti che, sono certa, possono arrivare anche da queste donne, che mi auguro abbiano lo spazio e le opportunità che meritano. Che questa ennesima crisi possa essere l’occasione per cambiare l’industria dell’auto, rendendola un po' meno un gentlemen’s club. E rendendo un po’ meno sole Bertha e Mary.