Soltanto a metà settembre sono arrivate nel parcheggio del parco Nord di Crevalcore le prime due colonnine

Crevalcore è un comune di circa 14 mila abitanti, al centro di un’area piuttosto ricca nella Pianura Padana, che a metà settembre ha raggiunto il traguardo delle prime due colonnine di ricarica per auto. Le prime due soltanto nel 2022, e poi si parla di transizione elettrica!

Ormai il listino dei vari costruttori s’arricchisce soltanto di vetture alla spina che peraltro non si riescono a vendere in tutta Europa visto che i numeri segnalano una crescita zero nell’intero continente. Si tratta di automobili dal costo esagerato ma destinato a calare soltanto quando le vendite aumenteranno. Un cane che si morde la coda: se costano troppo la gente non le compera, se la gente non le compera i prezzi non si abbasseranno.

Conosciamo la storia, ma questo è soltanto un lato della medaglia. L’altro che troppi trascurano è che non si può pretendere che i consumatori acquistino un prodotto che non si può far funzionare. L’esempio di Crevalcore è quanto mai istruttivo perché non si tratta di una località sperduta chissà dove nello Stivale, ma di un centro vivace, un comune diventato città più di una ventina di anni fa per decreto del Presidente della Repubblica. L’area industriale e artigianale permette uno stile di vita invidiabile, e chi ci abita si può permettere automobili anche di alto status. Ma non elettriche, verrebbe da dire, perché fino a metà settembre non c’era un punto di ricarica utile per chi lì ci vive e indispensabile anche per chi ci arriva (più per lavoro che per turismo).

Hai voglia di convincere gli automobilisti a una conversione verso i mezzi che dovrebbero inquinare meno (almeno nel momento che circolano, perché il vero inquinamento, come è ben noto, è semmai a monte e a valle dell’uso su strada) se poi la birra che li fa marciare non si trova.

Ma quanti centri importanti come Crevalcore ci sono in Italia? Più di un secolo fa Edison perse la guerra dell’auto elettrica quando Rockefeller finanziò Henry Ford e la sua catena di montaggio assicurando ai mezzi a motore una capillare rete di distributori di benzina lungo tutti gli Stati Uniti. I punti di rifornimento si rivelarono fondamentali per la diffusione dell’automobile.

Da noi, in particolare da noi intesi come Italia, gli strateghi in Parlamento e i replicanti nelle varie amministrazioni comunali fanno di tutto per azzoppare l’auto tradizionale ma non capiscono che senza una rete degna di questo nome (al di là della lunghezza della ricarica e dei costi sempre più alti pur senza le pesantissime accise che gravano sui carburanti) non si può andare da nessuna parte. Ci sono tutt’al più dei punti di grandi dimensioni collocati magari fuori mano perché c’era uno spazio libero da sfruttare dove però non si ferma nessuno come ha documentato l'autorevole collega Pierluigi Bonora su Instagram pubblicando la fotografia quanto mai eloquente che vedete qui sotto con relativa didascalia provocatoria “Il boom dell’elettrico” e i disarmanti ciuffi d'erba che sono cresciuti tra le piastrelle delle zone di sosta.

La verità è che con questa lentezza, con gli equivoci sul prezzo di listino, con la resistenza verso quello che complica la vita anziché facilitarla, non si arriverà mai all’obiettivo imposto dall’alto delle sole auto elettriche in vendita dal 2035. Qualcuno, tra i costruttori, comincia a temere per gli investimenti da affrontare, sono contrari molti consumatori che rinculano davanti alle offerte di vendita e generano un mercato stagnante che presto chiederà il conto, mentre i soli che si rifiutano di capire i problemi sono i governanti nazionali, regionali e locali che non si ribellano a un piano che invece che migliorare l’ambiente lo ammorberà con un parco auto sempre più obsoleto ma a cui i più si rifiuteranno di rinunciare.